Ebola: corpo a corpo per fermare il virus

Messico

Sono a Macenta, una cittadina nell’ovest della Guinea, a un migliaio di chilometri dalla capitale Conakry e al confine con la Liberia. In tempi normali servono un paio di giorni per raggiungerla, ma adesso – con l’emergenza Ebola – MSF ha affittato un aereo che in due ore arriva a Guekedou e da lì, dopo due ore di macchina su strada molto dissestata, si arriva a destinazione. La cittadina é in collina, in mezzo alla foresta e circondata da altre colline di roccia ed erba. Bellissimo. Non fosse per l’ebola, sarebbe un posto magnifico in cui passare le vacanze.

Tra gli operatori MSF ci sono alcuni fra i più grandi esperti di ebola al mondo. Come tutti sanno il virus dell’ebola è estremamente mortale: una volta infetti la mortalità è tra il 60% ed il 90%. Con l’avanzare dell’epidemia la mortalità diminuisce; non si sa se perché il virus perde la sua “forza” trasmettendosi di uomo in uomo, o se perché MSF prende in carico un numero man mano superiore di pazienti che poi si salvano. Dico MSF perché in tutto il mondo MSF é una delle poche organizzazioni ad avere le competenze e i mezzi per gestire un’epidemia di ebola.

Per l’ebola non esistono cure e una volta che una persona si ammala, possiamo solo tentare di curare i sintomi: abbassare la febbre, nutrire e idratare moltissimo (diarrea e vomito sono fra i sintomi più frequenti), e quando non c’è più niente da fare, alleviare il dolore e la sofferenza.

Per fortuna, quando è al di fuori di un organismo, il virus dell’ebola è molto fragile. Si stima che, al di fuori del corpo umano, possa vivere al massimo un paio d’ore. Nonostante usiamo il cloro per disinfettare, anche il sapone è sufficiente per uccidere questo virus. Per noi operatori, quindi, i rischi di contagio sono bassissimi, a meno che non si entri direttamente a contatto con un malato. Il virus non si trasmette per via aerea, ma solo attraverso i liquidi: sangue ma anche saliva, feci, urine, lacrime, muco. Per questa ragione i bambini piccoli, che in Africa non hanno pannolini o simili, possono essere un vettore di contagio. E fra l’altro sono anche una vittima certa: a oggi nessun bambino è mai sopravvissuto all’ebola. Da 6 giorni abbiamo un bambino di 12 mesi in isolamento, ed è di per sé già un record. Facciamo tutti il tifo per lui, anche se sappiamo che le possibilità sono bassissime.

All’interno del corpo, il virus rimane attivo anche dopo la morte del paziente, e questo complica molto le cose perché di conseguenza il funerale e i riti a esso collegati sono ad altissimo rischio infezione per chi vi partecipa.

Il lavoro di MSF, quindi, non è solo quello di curare i pazienti: dal momento in cui si teme che una persona sia malata, andiamo a prenderla in ambulanza, la portiamo al centro di isolamento, le forniamo tutte le cure e, se non dovesse farcela, ci occupiamo anche della sepoltura.

Per tutto il tempo in cui il paziente è ebola positivo rimane in una zona a cui solo noi operatori MSF abbiamo accesso e solo con tutta l’attrezzatura speciale (quelle famose tute da astronauta gialle, doppi guanti, doppia maschera, occhiali speciali) per pochi minuti alla volta.

Grazie a tutti i nostri sforzi, le cose qui sembrano andare un po’ meglio. A Macenta abbiamo un paziente che forse potrebbe guarire, e da un paio di settimane non si registrano nuovi casi. Dato che il periodo d’incubazione va da 2 a 21 giorni, questo significa che, se entro una settimana non ci sono più casi, possiamo cominciare a pensare che in questo posto l’epidemia è finita.

Attualmente a Gueckedou abbiamo 6 pazienti in isolamento, mentre a Conakry i pazienti attualmente in isolamento sono 4. In Liberia, invece, da ormai parecchi giorni non si registrano più casi e la situazione sembra essere sotto controllo.

Speriamo bene. Io sono stanco ma contento di stare qui con un team di persone competenti e motivate. Insieme ci si fa forza!

Fabrizio, capo progetto MSF a Macenta

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